Decidere quando sia il caso o meno di chiamare il ‘time’ durante il corso di un torneo di poker è una scelta che richiede la valutazione di numerosi fattori e comporta inevitabilmente delle conseguenze.
Sarà sicuramente capitato a chiunque giocando a poker di ‘mandare la vasca’ e poi essere costretti a dover aspettare cinque minuti abbondanti fino a quando tutti i giocatori foldano, incluso il Big Blind che ad un certo punto decide, con gran disappunto dei presenti al tavolo, di buttare nel muck un 7-2 offsuited! Si tratta di un episodio più volte visto: ci si trova nel corso di un torneo di poker live e si decide di andare all-in. Il nostro avversario che ha già messo più della metà delle chips nel piatto da inizio ad una lunga pensata e passa il primo minuto, poi due, poi tre e così via. Viene spontaneo chiedersi come ci si dovrebbe comportare in casi come questo. La prima reazione sarebbe quella di chiamare ‘tempo’ anche se spesso si è presi da quel dubbio che lascia nell’incertezza di quale sia davvero la cosa migliore da fare. Per rispondere alla domanda bisogna comunque considerare tutta una serie di fattori che intervengono in circostanze simili e soprattutto ricordarsi che alcune decisioni possono essere influenzate più dai dettagli di ordine psicologico che non dalle oggettive valutazioni tecniche effettuate in base a stack, carte, odds, ecc.
A riguardo, la prima cosa da rimarcare è che chi, rivolgendosi al dealer, chiede il ‘timing’ lo fa partendo dalla premessa che un avversario seduto al tavolo stia spendendo inopinatamente una grande quantità di tempo, trattenendo in maniera scorretta sul filo gli altri giocatori. E’ assodato che che il ‘tempo’ può essere chiamato sia dai giocatori coinvolti nella mano, sia da coloro che non lo sono, senza nessuna distinzione in merito. Ma quello che bisogna innanzitutto valutare, è il fattore che consente di discernere se l’attesa imposta dal giocatore di turno sia poco più di un fasullo escamotage per ricavare a suo vantaggio dei tell preziosi, oppure si tratta di una reale pausa di indecisione.
Nel primo caso, ad esempio, anche la nostra stessa impazienza potrebbe rappresentare un ottimo tell per l’avversario. Nel secondo caso, invece, richiamare l’attenzione sul tempo può condurre a esiti imprevisti. E’ vero che, anche se siamo seduti allo stesso tavolo, noi giochiamo sempre contro gli altri e quindi impedire ai nostri avversari di poter effettuare una scelta con serenità può arrecarci dei vantaggi. Mettendo fretta, possiamo indurre in errore gli oppo nella mano, o addirittura potremmo puntare ad innervosirli qualora la situazione si ripetesse più e più volte, influendo in maniera negativa sulla loro condotta di gioco.
Bisogna però tener sempre presente che la scelta di chiamare ‘tempo’ potrebbe in alcuni casi ritorcersi contro di noi, esercitando una cattiva influenza sul resto dell’action presente e futura.
E’ risaputo che colui che chiama il tempo al tavolo risulta antipatico al resto dei giocatori. Inoltre, in nessuna disciplina di poker esiste una regola scritta che stabilisce quale sia un limite di tempo accettabile o opportuno per agire. Quindi, il tutto è rimesso alla totale discrezione dei giocatori. Emblematico a riguardo risulta essere un episodio occorso a Tiffany Michelle al Main Event delle WSOP 2008: Tiffany Michelle osò chiamare tempo nel corso di una mano cruciale e tale episodio desta ancora curiosità ed è rimasto famoso perché essendovi soltanto due tavoli superstiti, era probabilmente un interesse convergente quello di lasciare correre per un attimo le lancette, in vista di premi più alti. Ma esistono anche altri esempi di segno opposto, soprattutto se si considera che nel poker le somme in gioco sono quasi sempre molto elevate per cui non sembrerebbe corretto che ogni mano durasse dieci o venti minuti, portando alla stanchezza i giocatori proprio alla chiusura del giorno di torneo, quando cioè ogni azione può risultare fondamentale e servirebbe la massima lucidità.